Il Blog di Diego Mosna

  • Diego Mosna

    21 maggio 2014

    Il Blog di Diego Mosna

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    Di fronte alla proposta di chi promuove l’abolizione e lo scioglimento dell’ente “Regione Trentino-Alto Adige/Suedtirol”, proposta che non condivido – e dirò subito perché -, ma che ha il pregio di essere estremamente chiara e diretta, mi domando se non sia possibile avviare finalmente un confronto alto, serio, culturalmente e storicamente contestualizzato, responsabilmente finalizzato alla ridefinizione della funzione, delle competenze e del funzionamento della Regione. Oggi non possiamo permetterci di spendere soldi pubblici per mantenere Enti che non abbiano un profilo istituzionale e operativo che ne giustifichi pienamente l’esistenza e l’operato. Personalmente mi sono già espresso su questo punto prima dell’esplosione dello “scandalo vitalizi”, esponendo la mia convinzione che la Regione debba essere rilanciata rendendola l’ambito istituzionale nel quale prendono forma una serie di scelte che devono essere individuate in sede legislativa, anche attraverso la revisione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. Tali scelte dovrebbero riguardare gli ambiti delle infrastrutture, della mobilità, degli approvvigionamenti energetici, della gestione di parti del territorio che sono divise tra le due Province di Trento e Bolzano – le Dolomiti in primis -, l’interlocuzione con l’Unione Europea in sede di assegnazione di finanziamenti per lo sviluppo imprenditoriale, una piena integrazione dei due sistemi della sanità e delle politiche sociali, dell’istruzione e della formazione professionale, della promozione della cultura e dei prodotti dei nostri territori. In definitiva, l’economia, la cultura, i servizi alla persona ci chiedono una dimensione più ampia, che solo la Regione ci può garantire. Sono, questi, i capitoli essenziali a trasmettere l’idea di come si possa costruire un quadro a partire dalla fondamentale cornice istituzionale che la Regione tuttora rappresenta come elemento di fondazione, giustificazione e salvaguardia dell’autonomia delle Province di Bolzano e di Trento.
    Tutto ciò chiede un ripensamento della logica di svuotamento progressivo della Regione, logica che porta ineluttabilmente alla proposta di voto che stiamo discutendo. I rappresentanti trentini della maggioranza in Consiglio regionale devono uscire da quell’ambiguità che, assecondando di fatto tale logica, porta inesorabilmente – e a maggior ragione nello scenario politico e istituzionale dei nostri giorni – verso la soppressione della Regione. Non è pensabile giustificare la sopravvivenza della Regione come mero “tavolo di coordinamento e di raccordo politico”, come suggerito dal gruppo PD del Consiglio provinciale di Trento. Non c’è bisogno di un’Istituzione per attivare e gestire luoghi di confronto e tavoli di lavoro! Va invece tenuto ben presente che la Regione è il quadro istituzionale di riferimento che garantisce l’Autonomia speciale delle due Province autonome di Trento e Bolzano. Tuttavia, mentre l’Alto Adige/Suedtirol può contare su tutele extranazionali, la Provincia di Trento ha “derivato” la propria Autonomia dall’Istituzione regionale, sulla base di motivazioni storico-politiche che si sono affermate grazie all’intelligenza e alla credibilità di Alcide Degasperi. Sarebbe dunque l’Autonomia della Provincia di Trento a correre i maggiori rischi se si mettesse mano a una “revisione” dello Statuto orientata ad affossare la Regione, al più trasformata in questo improbabile “luogo di incontro” e dialogo con Bolzano. Mi chiedo se anche il P.A.T.T. intenda concorrere all’ulteriore svuotamento della Regione e se ciò non costituirebbe il tradimento conclamato della sua missione politica.
    D’altra parte, non possiamo permetterci, cari colleghe e colleghi, che la funzione della Regione, nella percezione dei nostri concittadini, sia semplicemente quella di gestire e di erogare a mo’ di bancomat indennità e vitalizi. Ciò significherebbe fare un ulteriore passo dentro quel baratro dal quale tutti vogliamo risollevarci. Ci sono motivi storici che spingono al mantenimento dell’Istituto regionale. Ce ne sono altri, contingenti ma rilevanti anche e soprattutto in prospettiva, che ci suggeriscono di rinnovare la definizione delle sue competenze, a vantaggio sia della sua legittimazione sia della sua operatività effettiva.
    Detto del merito delle questioni, vorrei ora svolgere alcune considerazioni sul piano del metodo. Per riallacciare il dialogo con chi rappresentiamo, con la società civile e con l’opinione pubblica, dobbiamo andare fino in fondo con coraggio togliendo di mezzo tutto ciò che sa di privilegio. Fino in fondo, ovviamente, alla triste vicenda dei vitalizi. Una storia, lo voglio ricordare, che viene da un passato in cui la politica dominava la vita sociale e il “politico”, oggi svillaneggiato (spesso ingiustamente, basti pensare che i neoeletti in Consiglio regionale sono 35 su 70 membri, e quindi hanno ben poche responsabilità), era invece temuto e riverito. Dobbiamo accettare come un bene necessario la verifica della Corte dei Conti sull’uso dei fondi dei gruppi nel 2013; impegnarci a gestire quel che è rimasto, dopo i tagli della fine della scorsa legislatura, per l’attività politica e istituzionale con la massima trasparenza e parsimonia. A farla breve, dobbiamo mettere la parola fine su questa amara partita il prima e il meglio possibile, per poi stipulare un nuovo patto con il popolo trentino e sudtirolese.
    Attenzione però, i patti prevedono impegni reciproci: dalla nostra parte, da quella dei rappresentanti nelle e delle istituzioni, va conclusa una fase di rinnovamento etico, di trasparenza e serietà anche nel linguaggio. Dall’altra va chiesto alla nostra gente uno sforzo di indipendenza e responsabilità. Indipendenza e responsabilità (anche di giudizio) fondamentali per una crescita democratica della nostra Autonomia. Quindi, se indiscutibilmente dovremo passare ai raggi “X” tutte le situazioni che potrebbero esporre le Istituzioni a critiche fondate, alla fine di questo percorso dovremmo chiedere rispetto! E ciò significa chiedere alla nostra gente di fare un passo avanti: di guardare dentro le scelte che in queste stanze e in queste aule vengono assunte. Di giudicare i consiglieri dal loro lavoro, dal loro impegno e dalla qualità delle idee. Per questo ritengo che vadano messe in campo forme di comunicazione moderne come i media civici, formula evoluta e più matura dei social media. Media civici che permettono ai cittadini di conoscere con precisione e obiettività il tipo, la quantità e la qualità del lavoro di ogni eletto.
    Me ne rendo perfettamente conto, non è facile rendere attraenti le notizie sui lavori parlamentari e sui lavori dei nostri Consigli provinciale e regionale. Capisco che in un mondo dei media dominato da “scoop” e da “scandali”, reali o presunti, far filtrare ragionamenti, approfondimenti (che possono, ovviamente, essere giusti o sbagliati) è dura. Però vi invito a fare un esperimento: se per qualche giorno ascoltate le trasmissioni specializzate, soprattutto quelle dedicate al lavoro delle Commissioni parlamentari, vi accorgerete che a Palazzo Madama o a Montecitorio non bivaccano solo arruffoni e perdigiorno. Anzi, ci sono oscuri parlamentari che, in tutte le forze politiche, anche in quelle tacciate troppo spesso di “populismo”, studiano, dicono cose sensate, indicano soluzioni usando un linguaggio sobrio. Solo che alla grande stampa e alle tv non interessano perché non sono di battuta facile, sono magari un po’ grigi, non si fanno beccare con amati e amanti, non si fanno comprare e quindi non fanno notizia. Immaginate se le cose fossero state così ai tempi di Moro, di Berlinguer o di Ugo La Malfa!
    Questo per dire che se da una parte la politica deve definitivamente (lo scandisco: de – fi – ni – ti – va – mente) togliere ogni ostacolo, ogni privilegio, dall’altra, ultimato questo percorso, deve avere anche la forza e il coraggio di chiedere rispetto. Anche perché, se si vuole decidere, si deve avere anche la forza di essere impopolari per non essere anti popolari. Chi è chiamato ad avere responsabilità politiche deve avere anche la serena consapevolezza che un direttore d’orchestra per dirigere la musica deve girare le spalle al pubblico. Ma il pubblico deve avere fiducia, e quindi rispetto, per chi ha mandato sul palco a muovere la bacchetta. Sia esso al governo o all’opposizione.

     

    Diego Mosna

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