Il Blog di Diego Mosna

  • Diego Mosna

    19 marzo 2014

    Il Blog di Diego Mosna

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    Di seguito l’intervento che avrei voluto fare oggi in Consiglio Regionale (ma che non ho potuto fare):

    Lo scandalo dei vitalizi e delle indennità faraoniche si è abbattuto come uno tsunami su ciò che restava della credibilità della politica e della fiducia dei cittadini nelle Istituzioni deputate a definire e a rendere effettive le norme che regolano la convivenza civile di un popolo in larga parte stremato da una crisi che ancora non allenta la presa e umiliato nel vedere che chi dovrebbe applicarsi nel cercare soluzioni a tale situazione si è invece ampiamente occupato di garantirsi il futuro con prebende e privilegi variamente assortiti.

    Siamo al punto più basso di una parabola in corso da anni, caratterizzata da crescenti sentimenti di ostilità, o di indifferenza, dell’opinione pubblica nei confronti di una classe politica alla quale venivano mosse soprattutto due accuse: l’incapacità di affrontare di petto i problemi sociali, economici, culturali che appesantiscono la quotidianità del vivere e, d’altra parte, il percepirsi come casta, in quanto tale preoccupata di perpetuare il proprio potere e di riempirlo di grandi e piccoli privilegi che però, ad un certo punto, hanno cominciato a debordare fino a risultare una provocazione e un insulto per chi oggi fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Evidentemente tale ultimo fenomeno colpisce anzitutto per le sue dimensioni, ma non vanno sottaciuti alcuni elementi che, se possibile, lo rendono ulteriormente odioso. Il nostro Paese conosce oggi un tasso di disoccupazione che sfiora il 13 % e raggiunge il 42 % nel caso dei giovani. Vi è un numero crescente di brillanti laureati, i quali, dopo anni di studio intelligente e appassionato, sono costretti a emigrare all’estero per svolgere attività di ricerca, perché il nostro Paese spende assai poco per tali attività e i giovani ricercatori, pur se altamente qualificati, ricevono stipendi da fame. In molti settori produttivi si verificano situazioni analoghe. La fuga di cervelli e di manodopera sta assumendo proporzioni preoccupanti, ma nel frattempo la categoria che dovrebbe esprimere il più alto grado di responsabilità sociale si è autobeneficiata in misura onestamente imbarazzante. Non è giusto fare di tutta l’erba un fascio, non è neppure giusto dimenticare che tra i beneficiati dalle laute prebende vi sono, certamente in Trentino e in Alto Adige/Suedtirol, persone che hanno svolto con impegno e dedizione il proprio mandato politico. Purtroppo in ambito politico non esiste alcun rapporto tra la “produttività” di un membro delle istituzioni e la sua remunerazione. D’altra parte, non vi è più quella selezione della classe politica un tempo garantita da grandi partiti popolari – pensiamo alla Democrazia Cristiana e al Partito Comunista -, fortemente strutturati, radicati sul territorio in maniera capillare e capaci di rappresentare le scuole in cui emergevano le persone più capaci di assumere consapevolmente e in modo competente le responsabilità ai vari livelli della gestione della cosa pubblica.

    Anche la nostra Regione e le nostre Province, che si sono forse un po’ troppo cullate nella convinzione di una propria virtuosa diversità, oggi devono fare i conti con una disaffezione dei cittadini elettori, che si è manifestata in modo inequivocabile già lo scorso 27 ottobre in occasione delle elezioni provinciali – con tassi di astensionismo che ci erano finora sconosciuti -, ma che sta verosimilmente assumendo proporzioni tali da comportare il rischio di delegittimazione, de facto, di un’intera classe politica. Il Partito Democratico, primo partito della Provincia di Trento, ha celebrato domenica il rito delle primarie per la scelta del Segretario provinciale, che si sono rivelate – nonostante la presenza di tre candidati – una consultazione di pochi intimi (7717 votanti, a fronte dei 52412 voti raccolti dal PD il 27 ottobre).

    Quali sono i segnali che dobbiamo urgentemente offrire ad un’opinione pubblica scandalizzata o, peggio, rassegnata di fronte a quanto è emerso nelle ultime settimane? Anzitutto l’assunzione di iniziative personali, le quali – senza attendere provvedimenti normativi – esprimano concretamente, attraverso la rinuncia a cifre considerevoli o la loro restituzione, un’assunzione personale di responsabilità da parte dei protagonisti della grande spartizione. In secondo luogo, l’assunzione nelle competenti sedi regionali, di provvedimenti legislativi e amministrativi che reindirizzino le cifre dello scandalo a favore di inziative che affrontino emergenze sociali, economiche, occupazionali. In tale direzione si muove la proposta dell’Assessora regionale Violetta Plotegher, proposta che condivido e che mi auguro trovi il più ampio consenso.

    Vi è, peraltro, un altro punto che mi interessa toccare oggi in quest’aula. È un punto che io e altri colleghi abbiamo già sollevato nelle ultime settimane e che riguarda una questione annosa, che si pone peraltro oggi, a mio giudizio, con ancora maggiore urgenza. Il punto è quello relativo alla funzione, alle competenze e al funzionamento della Regione. Oggi non possiamo permetterci di spendere soldi pubblici per mantenere Enti che non abbiano un profilo istituzionale e operativo che ne giustifichi pienamente l’esistenza e l’operato. Personalmente mi sono già espresso su questo punto prima dell’esplosione dello “scandalo vitalizi”, esponendo la mia convinzione che la Regione debba essere rilanciata rendendola l’ambito istituzionale nel quale prendono forma una serie di scelte che devono essere individuate in sede legislativa, anche attraverso la revisione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. Tali scelte, in aggiunta a quanto già oggi previsto, dovrebbero riguardare gli ambiti delle infrastrutture, della mobilità, della gestione di parti del territorio che sono divise tra le due Province di Trento e Bolzano – le Dolomiti in primis -, l’interlocuzione con l’Unione Europea in sede di assegnazione di finanziamenti per lo sviluppo imprenditoriale, una piena integrazione dei due sistemi sanitari, anche in considerazione del fatto che per gli abitanti – trentini – delle Valli di Fiemme e Fassa e dell’Alta Val di Non l’Ospedale di Bolzano è più vocino e più facilmente accessibile che non quello di Trento. Sono, questi, alcuni esempi che vorrebbero dare l’idea di come si può costruire un quadro a partire dalla fondamentale cornice istituzionale che la Regione rappresenta come elemento di giustificazione e di salvaguardia dell’autonomia delle Province di Bolzano e di Trento.

    Non possiamo permetterci, cari colleghi e colleghe, che la funzione della Regione, nella percezione dei nostri concittadini, sia semplicemente quella di gestire e di erogare a mo’ di bancomat indennità e vitalizi. Ciò significherebbe fare un ulteriore passo dentro quel baratro dal quale tutti vogliamo risollevarci. Ci sono motivi storici che spingono al mantenimento dell’Istituto regionale. Ce ne sono altri, contingenti ma rilevanti anche e soprattutto in prospettiva, che ci suggeriscono di rinnovare la definizione delle sue competenze, a vantaggio sia della sua legittimazione sia della sua operatività effettiva. Non perdiamo l’occasione che, sia pure a partire dalla drammaticità del momento, ci è offerta per dare un senso diverso al nostro essere qui.

     

    Diego Mosna

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