Il Blog di Diego Mosna

  • Diego Mosna

    18 febbraio 2014

    Il Blog di Diego Mosna

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    Arrivederci, Italia. È con una mail ai suoi utenti italiani che Yahoo! ha salutato il fisco italiano e ha annunciato di aver comprato un biglietto di sola andata per trasferirsi armi e bagagli in una nazione più amica dal punto di vista delle tasse: l'Irlanda.

    Dal 21 marzo Yahoo! Italia Srl cesserà le sua attività e i servizi dell'azienda continueranno a essere forniti dalla società irlandese Yahoo! Emea Limited. Quello che cambia per gli utenti lo spiega nel messaggio l'azienda stessa: «La principale modifica consiste nel fatto che Yahoo Emea, in qualità di nuovo fornitore dei servizi per i nostri utenti europei, sostituirà Yahoo! Italia Srl come titolare del trattamento dei dati, responsabile della gestione e delle tue informazioni personali». Cioè: niente muterà dal punto di vista dei servizi, molto invece sarà nuovo dal lato dei costi per l'azienda.

    A Dublino, infatti, sono migrate molte aziende tecnologiche, come Google e Twitter, attratte da una tassazione favorevole. Il Financial Times ha calcolato che sette colossi tecnologici americani, comprese Apple e eBay, hanno pagato 54 milioni di sterline di imposte sui redditi d’impresa nel 2012 in Gran Bretagna a fronte di 15 miliardi di dollari di ricavi. Cifre basse, che riflettono – ha fatto notare il quotidiano britannico – la capacità di queste società di concentrare le attività economiche in Paesi con bassa imposizione fiscale come l’Irlanda, la Svizzera e il Lussemburgo, lasciando negli altri Paesi attività minori.

    Se però la lotta ai paradisi fiscali e ai segreti bancari è sempre più serrata a livello globale e per questo offrire tale servizio rende sempre meno (tanto è vero che molte aziende anche dalla Svizzera stanno andando in Irlanda), adottare una politica di tassazione non punitiva invece si rivela una scelta molto efficace e a presa rapida, soprattutto per paesi delle dimensioni (anche economiche) dell'Irlanda.

    Certo, Roma non è Dublino. Ma la lezione è chiara lo stesso: in un mercato globale, attrarre investimenti diventa decisivo. La web tax? Non sembra la strada giusta per farlo. Per questo, cari parlamentari che pensate di introdurla in Italia: pensateci meglio!

                           

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