Il Blog di Diego Mosna

  • Diego Mosna

    02 settembre 2014

    Il Blog di Diego Mosna

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    Di seguito il mio intervento di oggi, martedì 2 settembre 2014, tenuto in Consiglio Provinciale straordinario sulla "Situazione Occupazionale in Trentino".

     

    La richiesta di trattare il tema del lavoro e dell’occupazione in questo Consiglio provinciale straordinario corrisponde all’assoluta centralità che tale argomento riveste in questa fase della vita sociale ed economica della comunità trentina, nella quale ormai da tempo, e con severità purtroppo crescente, dobbiamo affrontare gli esiti di una crisi che ha investito le economie più sviluppate.
    Circa la rilevazione sulle forze lavoro in provincia di Trento, abbiamo dati recentissimi pubblicati dal Servizio provinciale di Statistica il 29 agosto, dati che vengono poi forniti all’Istat e quindi diffusi a livello nazionale. Questi dati, lo sappiamo, ci dicono molte cose e vanno letti nella loro globalità, essendovi situazioni diversificate da settore a settore e, spesso, dinamiche assai differenti tra trend occupazionale maschile e trend occupazionale femminile. Possiamo certamente affermare che permane una criticità, poiché il tasso di disoccupazione in provincia di Trento si è assestato al 6,9% nel secondo trimestre del 2014. Pur trovandoci ben al di sotto della media nazionale (12,3%), e al di sotto della percentuale del Nord Italia (8,4%), nonché lievemente al di sotto del dato del Nord-Est (7,3%), facciamo registrare un incremento rispetto alla media complessiva del 2013 (6,6%) e rimaniamo ampiamente distanti dall’Alto Adige-Suedtirol, il cui tasso di disoccupazione (4,0%) risulta di quasi tre punti percentuali inferiore al nostro.
    Il tema del lavoro e dell’occupazione è inscindibilmente connesso ai temi dello sviluppo economico, della competitività, della produttività, dell’innovazione, dell’attrattività del nostro territorio per investitori provenienti dal resto d’Italia e dall’estero, della capacità di internazionalizzazione delle nostre imprese e di garantire in tal modo un respiro più ampio alla nostra economia. Purtroppo stiamo assistendo allo sviluppo di operazioni che non sono di internazionalizzazione, bensì di delocalizzazione, con conseguenze negative sull’occupazione e sulla produzione nel nostro territorio. Non intendo sottacere che i temi del lavoro sono stati oggetto di una certa attenzione da parte della Giunta provinciale in questi ultimi mesi, ma l’approccio – pur cercando di interpretare la delega sul piano della gestione degli ammortizzatori sociali acquisita dalla provincia – non appare ancora adeguato alla portata delle questioni che dobbiamo affrontare. Se il sistema di politiche passive del lavoro fa segnare qualche passo avanti, il salto di qualità e la possibilità di tornare a crescere per un territorio, con la connessa ripresa occupazionale, poggia sulle politiche attive del lavoro, quelle che si articolano lungo le quattro direttrici indicate prima nell'Agenda di Lisbona e poi nella Strategia Europea per l'Occupazione (SEO):

    Occupabilità: incrementare le capacità di un individuo di realizzare il proprio inserimento lavorativo

    Adattabilità: favorire quell’articolazione e quell’aggiornamento delle conoscenze individuali che le rendano compatibili con le esigenze del mercato

    Imprenditorialità: sviluppare quelle caratteristiche peculiari che definiscono qualità e spirito imprenditoriali, capacità di avviare un'azienda e contribuire all'autoimpiego

    Pari opportunità: favorire politiche di uguaglianza e di conciliazione che supportino l’incremento dei tassi di occupazione femminile.

    Onestamente, ritengo che le azioni messe in campo dalla maggioranza a livello di politiche attive del lavoro siano fino ad ora insufficienti e che, a tale livello, sia necessario un cambio di passo.

    Ciò detto, c’è a mio avviso un problema che va affrontato prioritariamente, perché riguarda la definizione del quadro di riferimento all’interno del quale devono collocarsi gli interventi dell’Ente pubblico, definizione essenziale perché tali interventi risultino efficaci e siano in grado di generare quell’effetto moltiplicatore che crea crescita, occupazione, sviluppo. C’è bisogno di definire il modello di sviluppo del Trentino che faccia da riferimento per scelte di politica economica - declinata in politica fiscale, politica del lavoro, politica industriale –che siano coerenti con la vocazione produttiva della nostra terra. Ed eccomi allora ad affermare con forza che il Trentino non è terra da grande impresa, non è terra vocata ai nuovi grandi insediamenti industriali. Certo, è fondamentale che quelli che ci sono funzionino secondo le rispettive potenzialità produttive e garantiscano il mantenimento dei livelli occupazionali. Ma la storia degli ultimi anni ci parla di operazioni di salvataggio e di tentativi di rilancio realizzati con massicce iniezioni di denari pubblici, senza che ciò abbia impedito decisioni di chiusura e di delocalizzazione degli stabilimenti trentini da parte delle stesse aziende destinatarie degli aiuti pubblici. Tutto ciò non è più ulteriormente sostenibile né accettabile. L’erogazione di contributi pubblici deve divenire decisamente più selettiva, deve costituire forme di incentivazione alla crescita della produttività delle imprese, deve valorizzare quelle eccellenze che in un territorio quale il nostro sono patrimonio delle piccole e medie imprese e delle imprese artigiane. E se qualche dato di ripresa si intravede, non a caso viene da queste imprese, le quali, peraltro, sono state lungamente penalizzate dalle scelte di politica economica del centrosinistra autonomista. Vi sono, in tale contesto, imprenditori che si aprono all’internazionalizzazione senza delocalizzare, i quali però, giustamente, chiedono di alleggerire un carico burocratico che in provincia di Trento è realmente eccessivo e che spesso sembra essere pensato anzitutto per giustificare il mantenimento di un apparato della pubblica amministrazione costruito attraverso logiche spesso clientelari e che oggi risulta assolutamente sovradimensionato rispetto ad una comunità di poco più di 500.000 abitanti, pur se titolare di una speciale autonomia.
    Ho sostenuto apertamente da mesi che la spina dorsale del sistema produttivo trentino sono le piccole e medie imprese e le imprese artigiane. E ho dovuto con amarezza, a suo tempo, registrare il pubblico endorsement del loro Presidente De Laurentis a favore di quel centrosinistra che storicamente – e il Trentino non fa eccezione – è, da un lato,  al servizio della grande impresa e, dall’altro, fortemente condizionato dalle forze più conservatrici e statiche dell’universo sindacale. Oggi non posso che condividere le critiche di De Laurentis a modalità di definizione delle gare d’appalto che sembrano fatte apposta per penalizzare le imprese trentine e le sue valutazioni sulle opportunità che il completamento dell’autostrada della Valdastico offrirebbe all’economia trentina. Su questi temi avevo pubblicamente assunto impegni che Rossi, data la natura della coalizione che lo sostiene, non poteva assumersi, ciò che acuisce l’amarezza perché una diversa politica economica e industriale sarebbe possibile, ma non se ne intravede la praticabilità politica in una maggioranza che ha speso tutto questo primo anno del proprio mandato a discutere e litigare su tutto, a certificare la sostanziale assenza di un programma articolato e condiviso. La vicenda vitalizi ha coperto per mesi il vuoto di proposta politica, e quando ci si affaccia su temi qualificanti – si tratti della riorganizzazione della rete ospedaliera o della revisione della riforma istituzionale – volano pubblicamente gli stracci, mentre gli amministratori di periferia espressione del P.A.T.T. e dell’UPT organizzano, con grande efficacia, enormi operazioni di raccolta di firme contro il disegno, centralisticamente concepito dall’Assessora del PD Donata Borgonovo Re, che prevede una riorganizzazione dei servizi ospedalieri calata dall’alto e senza un confronto con i territori. La sensazione è quella della mancanza di un disegno politico, in assenza del quale Assessori e Consiglieri di maggioranza, con poche lodevoli eccezioni, esternano in libertà impallinandosi reciprocamente, mentre il partito del Presidente è impegnato in una forsennata campagna acquisti, anche a danno degli alleati di Giunta, che trova proseliti tra coloro che sono sempre pronti a salire sul carro del vincitore. E mentre molti parlano liberamente, pretendendo anche di essere ascoltati, il capogruppo del PD Manica non trova nulla di meglio che sollecitare i colleghi a non ascoltare l’Arcivescovo, che esprime perplessità per l’ideologia del gender che una lobby ben organizzata vorrebbe portare dentro le nostre scuola attraverso una legge che viene venduta come legge contro l’omofobia e invece risponde a tutt’altra operazione culturale. Arcivescovo, il quale aggiunge la considerazione - credo condivisa dal 99% dei Trentini – che la politica provinciale abbia cose più urgenti e più importanti di cui occuparsi. Persino la vicenda orso è stata gestita in modo così maldestro e confuso da procurare al Trentino un consistente danno d’immagine.
    Vi sono simboli, anche ben visibili, di un’inerzia della politica che sta impoverendo il nostro territorio. È desolante, da trentino, arrivare verso il Passo S. Lugano, alle porte della Val di Fiemme, e trovarvi – trasferite in provincia di Bolzano – i due nuovissimi stabilimenti della “Rizzoli Cucine” e della “VAP”, azienda che produce torni automatizzati e macchinari per l’automazione. Due eccellenze nei rispettivi settori, con 100 dipendenti, che hanno dovuto trasferire la loro sede dalla val di Fiemme alla vicina provincia di Bolzano, a causa dell’insopportabile ritardo nella predisposizione di una zona artigianale a lungo promessa e mai realizzata. La recente relazione della Banca d’Italia sull’economia delle province di Trento e Bolzano evidenzia una chiara differenza. Al di qua di Salorno un’economia fortemente dipendente dal settore pubblico, al di là un’economia fortemente orientata all’internazionalizzazione. Questa situazione richiederebbe, come previsto dal programma di governo che la nostra coalizione aveva elaborato, un profondo ripensamento sul ruolo del settore pubblico e delle numerose società partecipate dalla Provincia, in capo alle quali è collocata anche la gran parte del debito pubblico della Provincia autonoma di Trento, che ammonta a circa 2 miliardi di euro. Di tale riflessione non c’è traccia nell’azione dell’esecutivo, mentre vi è continuità con un approccio che ha riempito i Consigli di amministrazione di amici e di amici degli amici, secondo una logica spartitoria per la quale si assumono in quota minima scelte basate sulla competenza e sulla professionalità, e in quota prevalente scelte che rispondono al disegno di occupazione di quante più caselle possibili nell'ambito delle aziende parapubbliche.
    In questi mesi di attività politica mi sono anche sempre più convinto che la forza della parte deteriore del sistema burocratico poggia sulla debolezza di una politica che non è in grado di esprimere autorevolezza, visione, tensione riformatrice. Anziché preoccuparsi di occupare le diverse stanze del potere, la classe di governo dovrebbe intervenire chirurgicamente lì dove le pratiche che danno lavoro ai nostri professionisti e alle nostre aziende si incagliano nelle maglie intessute da burocrati autoreferenziali – quanti ne abbiamo nella nostra Provincia! -, i quali ritengono di avere l’opportunità di esercitare un potere anziché di interpretare un servizio.
    Vi è poi un problema di “lettura del momento” da parte della classe politica chiamata ad esprimere una cultura di governo, ad indicare una strada sulla quale promuovere la mobilitazione delle migliori intelligenze e delle migliori energie della nostra terra. Non basta vincere le elezioni per essere in grado di esprimere una tale visione politica. Gli esempi non mancano. Perché intestardirsi nel NO al completamento della Valdastico, laddove l’assenso alla realizzazione di quest’opera ci consentirebbe:

    a)   un rapido collegamento con una delle aree economicamente più sviluppate del nostro Paese, con ritorni positivi per le nostre aziende;

    b)   di negoziare con i vicini veneti una significativa partecipazione di aziende trentine alla realizzazione dei lavori, con ricadute positive sulla nostra occupazione.

    Ci viene spiegato che la scelta strategica della Provincia autonoma di Trento è lo sviluppo del trasporto su rotaia e che, pertanto, non può esprimersi un parere favorevole ad una nuova arteria stradale. Questo tipo di dichiarazioni vengono presentate come assiomi che non devono neppure essere dimostrati. La risposta a tutte le esigenze di trasporto merci che attraversano il Trentino in direzione nord sarà costituita dal tunnel ferroviario del Brennero. Vale il principio per cui, in attesa di un’opera certamente di grande e positivo rilievo, ma con tempi di realizzazione certamente non brevi, dobbiamo fermare la costruzione di nuove strade. Ciò nonostante sia di tutta evidenza che una parte delle merci continuerà ad essere trasportata su gomma e che la Valsugana, provata da anni e anni di traffico pesante, presenta tassi di inquinamento atmosferico elevati, cui si aggiunge la pericolosità in molti tratti della Statale 47. A questa situazione, si aggiunga la ferma intenzione del Veneto di realizzare una superstrada tra Castelfranco e Cismon del Grappa, che scaricherà all’ingresso della provincia di Trento un’ulteriore quantità di veicoli rispetto a quella già oggi eccessiva per il mantenimento di un equilibrio ambientale e della salubrità del territorio. Anche riguardo a questa situazione, assistiamo da un lato alla presunzione di una Giunta provinciale che ritiene di chiudere la questione non con la forza di argomentazioni articolate, ma a suon di slogan e con il fanciullesco atteggiamento del “tanto abbiamo dalla nostra parte il parere della Corte Costituzionale”.
    Personalmente, non ho mai mancato di riconoscere che il risultato delle elezioni provinciali del 27 ottobre scorso ha premiato in modo netto il centrosinistra autonomista e ha visto la sconfitta elettorale della coalizione da me rappresentata. Tuttavia ho voluto sperare che, pur senza arrivare a formule di tipo Grosse Koalition, la maggioranza non si percepisse del tutto autosufficiente, di fronte all’eccezionalità dei tempi che stiamo vivendo, ma – senza indulgere a uno sterile consociativismo – fosse pronta a confrontarsi senza pregiudizi con una minoranza nella quale – e non faccio qui riferimento al sottoscritto – militano consiglieri di capacità ed esperienza particolarmente significative, ben disponibili a farsi coinvolgere sul piano della riflessione su quali debbano essere gli strumenti e gli atti politici con i quali irrobustire la capacità del Trentino di far emergere quelle peculiarità che meglio possono aiutarlo ad affrontare e a vincere le sfide, difficili ma anche affascinanti, per affermare la propria identità di territorio in grado di rappresentare, secondo forme adeguate ai tempi, modalità con le quali abitare la montagna, realizzare un’integrazione virtuosa tra valli e città, essere laboratorio sul piano istituzionale, ospitare e sviluppare eccellenze in ordine alla ricerca scientifica, accogliere un turismo sostenibile offrendo esperienze innovative ed eco-compatibili, costruire collaborazioni e reti nell’ambito dell’arco alpino, creare un modello di proposta culturale che affianchi ai poli museali di Trento e Rovereto iniziative di alto livello in grado di rappresentare le identità dei diversi territori. Un’operazione di questo genere richiede, me ne rendo conto, una maggioranza sufficientemente coesa e illuminata per aprirsi al confronto con la minoranza. Purtroppo, pur avendo stabilito rapporti costruttivi con alcuni esponenti della maggioranza, non mi è stato possibile trovare spazi di collaborazione adeguati nei quali poter condividere una serie di riflessioni su quale Trentino immaginiamo nel nostro futuro. Considero questa chiusura sintomo di miopia politica, forse espressione della consapevolezza che un’apertura a questo livello finirebbe con il rendere ulteriormente evidenti le disomogeneità e le incongruenze presenti nella maggioranza proprio al livello fondativo di una visione politica. Eppure, sono convinto che stiamo, in questo modo, perdendo un’occasione importante, per favorire quel colpo d’ala dell’azione del governo provinciale che non invochiamo solo noi dall’opposizione, ma che è segnalata come assolutamente necessario da un autorevole esponente del PD, qual è il Presidente Dorigatti, il quale – senza peli sulla lingua – ha dichiarato che altri quattro anni così non possiamo permetterceli. Critica più esplicita e puntuale all’operato della Giunta e della maggioranza non poteva arrivare.
    Un’altra criticità è indubbiamente data dalla frantumazione delle forze politiche e dalla conseguente difficoltà nel fare squadra tra consiglieri di minoranza e maggioranza per portare avanti determinati progetti e proposte in quest’aula. Quando ci si trova da soli e non si condivide un percorso chiaro e continuamente aggiornato insieme ad altri consiglieri e gruppi, alla lunga l’impegno politico diventa logorante e difficile da sostenere. L’impegno individuale si riduce a testimonianza che non produce risultati e soprattutto non può realizzare il programma per cui ci si era candidati e che si voleva perseguire nel corso della legislatura. Sono convinto che la politica senza partiti e senza vera unità di gruppo è inutile e non rende un buon servizio ai cittadini. La crisi dei partiti è la crisi della possibilità stessa che una proposta politica abbia origine in una concezione della persona, della comunità e della società che la sostengano. Oggi i partiti sono per lo più gruppi di interessi, spesso asserviti alle pressioni esercitate dalle varie lobbies che, in cambio del voto, chiedono poi l’approvazione di provvedimenti legislativi che rispondono a interessi particolaristici.
    Quanto a una possibile soluzione della crisi politica che a grandi linee ho descritto e che investe anche il Consiglio provinciale in termini di credibilità e di capacità produttiva, sento il dovere di affidare alla riflessione dei colleghi una breve considerazione.
    Lo spunto fondamentale di questo mio appello per il futuro, lo ricavo proprio dall’argomento scottante che discutiamo oggi, riconducibile alla gravissima crisi dell’economia e dell’occupazione che dovrebbe costituire la priorità assoluta dei nostri pensieri e della nostra responsabilità politica. Dico dovrebbe perché, al contrario, mi pare che troppi altri temi di minore rilevanza e non caratterizzati da alcuna urgenza, stiano invece distraendo la nostra attenzione da questo compito urgentissimo, la cui problematicità è tale da richiedere di concentrare tutte le nostre forze alla ricerca di soluzioni adeguate e non solo per l’immediato futuro.
    Il primo aspetto del mio appello di oggi all’aula del Consiglio provinciale è quindi quello di lasciare da parte, o quantomeno rinviare ogni altra questione, per dedicarsi in termini assolutamente prioritari a questa. Il diritto al lavoro e per questo il sostegno e il rilancio dell’impresa attraverso una intelligente e robusta politica di investimenti pubblici, deve tornare al centro dell’attenzione e rimanere il primo focus dell’impegno politico sia della Giunta sia della maggioranza e delle minoranze.
    Il secondo elemento cardine del mio appello al Consiglio è questo: se siamo, come spero e credo, davvero consapevoli della drammatica gravità dell’emergenza economica e sociale nella quale anche il Trentino oggi si trova e delle prospettive ancor più buie che si profilano all’orizzonte, allora occorre, anzi, dobbiamo unire le forze di tutti, della Giunta, della maggioranza e delle minoranze senza distinzioni di gruppo, partito e colore, per mettere insieme le idee e le capacità necessarie ad individuare le soluzioni che i cittadini, i lavoratori, le imprese legittimamente ci chiedono e si attendono dalla politica. Dico di più: non solo c’è bisogno di unire le forze come Giunta, consiglieri, gruppi e partiti di maggioranza e minoranza in Consiglio provinciale, ma anche di avvalersi di tutti gli aiuti che, per individuare le soluzioni alla crisi, possono provenire dal sistema produttivo e dalla società civile, vale a dire dalle energie più vive e dinamiche della comunità trentina. Chiudiamo tutti i tavoli settoriali e apriamone uno soltanto in cui tutti i politici e gli amministratori del territorio e le rappresentanze della società e dell’economia individuino le azioni e le strategie per impedire che il Trentino precipiti e si avviti insieme al resto del Paese nel baratro di questa crisi spaventosa e che non si era mai vista dal secondo dopoguerra ad oggi. Ripeto: facciamolo, prima che sia troppo tardi. Mettiamo al bando ogni altro problema e progetto e dedichiamoci prima di tutto a questo.
    Da parte mia non ho nessuna intenzione di sottrarmi alla responsabilità di contribuire a questa causa prioritaria, quale che sia il mio ruolo futuro. Credo anzi che gli imprenditori come me debbano assumere un ruolo molto più importante di quel che finora hanno interpretato, smettendola di addossare tutte le responsabilità all’Ente pubblico e dimostrando di avere una capacità progettuale e di iniziativa per rispondere ai problemi immediati, ma soprattutto per dare prospettive ai giovani e soluzioni alle esigenze di crescita del nostro territorio. Lo stesso vale per i rappresentanti delle organizzazioni sociali e delle varie realtà culturali sia pubbliche che private. Se questi soggetti hanno idee costruttive oltre che critiche, come dovrebbero avere, bene! Le portino al tavolo comune dell’emergenza del Trentino (lo chiamerei così) perché si possano valutare e valorizzare insieme a quelle di tutti gli altri attori coinvolti.
    Ecco, mi fermo qui perché non credo questo sia il momento adatto ad altri discorsi. Dobbiamo invece creare subito le condizioni per operare e intervenire con un’azione di contrasto sia di breve sia di medio termine. E la prima condizione da creare è, lo ripeto, questo “tavolo dell’emergenza” da anteporre ad ogni altra iniziativa e attorno al quale stabilire modalità di lavoro e tempi entro i quali produrre le risposte di cui il Trentino ha vitale bisogno e che ha diritto di pretendere da una classe dirigente che voglia ancora dimostrarsi all’altezza della situazione.

    Diego Mosna

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