Il Blog di Diego Mosna

  • Diego Mosna

    11 dicembre 2013

    Il Blog di Diego Mosna

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    Parto, in questa mia riflessione, dai dati congiunturali diffusi nei giorni scorsi dalla Camera di Commercio. Dati che evidenziano qualche timido, per non dire timidissimo, segno “più” che, dando a queste cifre una lettura ottimistica, farebbe pensare all’avvio di una ripresa. Me lo auguro, naturalmente. Anche se, guardando a quello che succede in Europa e in Italia, c’è davvero da dubitare. E dico questo perché dobbiamo partire da un’analisi del contesto europeo e nazionale (analisi che è completamente mancata nella relazione del Presidente Rossi) perché, volenti o no, quello che viene deciso e accade a Bruxelles o a Berlino e, naturalmente, a Roma, ha ripercussioni pesanti e dirette sulla nostra economia. Anzi, risentiamo di quel che succede in Asia o negli Stati Uniti perché la globalizzazione è ovunque un fatto concreto. Sempre più drammaticamente concreto.

    Il quadro economico e finanziario di riferimento

    Le politiche di austerità imposte dall’Unione Europea non hanno funzionato. Anzi, il nostro debito pubblico, nonostante i tagli e gli sforzi di contenimento della spesa pubblica, salirà al 134% del Pil nel 2014. E questo accade soprattutto perché la crescita è ferma dopo un calo costante da vent’anni a questa parte. Crescita che, al di là del malgoverno, al di là di una situazione politica nazionale grottesca, è entrata in crisi con l’introduzione dell’euro (ma non “per colpa” dell’Euro) e con la cessione drammatica, iniziata negli anni ’90, di una parte fondamentale dell’industria italiana. Non possiamo dimenticare che il Trentino fa parte di un Paese che si sta velocemente deindustrializzando. Un’Italia che ha perso il 20% delle sue multinazionali tascabili, vero nerbo della nostra economia; un’Italia che ha consegnato nelle mani di capitali stranieri marchi che sono state bandiere (e che bandiere!) della nostra forza produttiva, della nostra civiltà industriale.

    Il nostro Paese, insomma, rischia di avere un futuro preindustriale. Per questo non possiamo accontentarci dei piccoli segni “più” evidenziati dalla Camera di commercio di Trento.

    Certo, dobbiamo lanciare anche segnali di fiducia, ma ben altra cosa è abbassare la guardia. Anche perché la storia recente ci insegna che le ricadute sono sempre dietro l’angolo, favorite dall’instabilità della finanza internazionale, e dalla eccessiva  “finanziarizzazione” dell’economia. La lezione del 2008 non è servita gran chè e, ad esempio, il mercato dei derivati è tornato a crescere in maniera disarmante. Oggi, in questi ultimi scampoli del 2013, siamo di nuovo sulla strada che rischia di condurci all’esplosione di una bolla speculativa che deflagrerebbe nel pieno di una crisi dell’economia tutt’altro che risolta e che metterebbe ulteriormente in ginocchio il sistema creditizio. Le politiche espansive della Fed americana (comunque discutibili per entità e durata dei quantitative easing attuati) e della Bce (che privilegia il piu’ classico degli strumenti di politica monetaria, il tasso di interesse) partono da presupposti giusti; peccato che per ora la cinghia di trasmissione all’economia reale non sia efficace. E il sintomo più evidente sta nel fatto che nonostante un tasso d’interesse bassissimo alle imprese e alle famiglie dalle banche non arrivano soldi. I dati sulla situazione trentina pubblicati la scorsa settimana sono eloquenti: la contrazione del credito è, in termini percentuali, non molto distante dalla media italiana e lo stesso si può dire per i crediti in sofferenza. E questi dati dipendono anche dal fatto che le banche non si fidano del futuro delle piccole aziende. Sono infatti le piccole aziende a risentire di più della contrazione del mercato interno, vittima di un calo della domanda causata dalle politiche fiscali, dalla contrazione dei redditi provocata dal contenimento degli stipendi nel tentativo di recuperare margini di competitività da parte delle aziende e, dalla parte del settore pubblico, di contenere il deficit entro il 3% del Pil, come impongono i trattati europei. Siamo, a dirla in breve, all’interno di un circolo vizioso.

    I numeri PAT

    In questo quadro d’insieme, dal quale, insisto, non si può prescindere se vogliamo capire non solo cosa sta succedendo, ma anche come muoverci, si colloca anche la crisi del nostro bilancio provinciale. E qui i numeri, per quanto si cerchi di addolcirli, sono impietosi: da qui al 2017 lasceremo nelle casse dello Stato 1400 milioni di euro, il 33% del bilancio, e ce la caveremo solo grazie agli arretrati che Roma ci deve. Dopo il 2017, se riusciremo a far digerire al Governo il principio del residuo fiscale, dal nostro bilancio mancheranno un miliardo e 100 milioni.

    I numeri, insomma, l’ho detto e ripetuto in campagna elettorale (e per questo sono stato spesso frettolosamente svillaneggiato) ci pongono davanti ad una svolta storica. Ad una sfida storica. Sfida che dobbiamo affrontare con margini finanziari ridotti. Ma proprio questo deve diventare un pungolo ulteriore alla nostra fantasia, alla nostra creatività e non un ulteriore elemento di depressione.

    Razionalizzare la struttura dei costi…

    Dicevo prima che uno dei problemi delle nostre aziende sta nelle dimensioni. E’ un problema tipicamente italiano che qui da noi è stato aggravato dalle politiche della Provincia che, invece di spingere verso l’innovazione e la crescita anche dimensionale delle attività produttive, per troppo tempo hanno semplicemente mirato al mantenimento dello status quo. Troppo scarsi sono stati, infatti, i tentativi compiuti verso la creazione di distretti industriali; è mancata una politica industriale in grado di spingere le aziende verso la creazione di gruppi in grado di fare massa critica per riuscire a competere anche sui mercati esterni. E’ mancata una plancia di comando in grado di individuare i settori trainanti. Il fatto è che quando le cose andavano bene, in fondo ogni politica, anche l’assenza di una politica, andava bene. E questo è stato un errore grave, perché è proprio quando le cose filano per il verso giusto che si deve pensare ai cambiamenti. È proprio quando l’economia funziona che il pubblico deve dimagrire. È nei periodi di bel tempo che, come l’esperienza insegna, si devono preparare le condizioni per prevenire i danni che il maltempo può causare. Fuor di metafora, è nei periodi relativamente tranquilli che occorre predisporre e realizzare le riforme più importanti.

    …e generare piu’ reddito ed occupazione.

    Così però non è stato e per questo oggi ci ritroviamo costretti a cambiare, e in fretta, in un periodo di magra, prima che la situazione peggiori ulteriormente. Se siamo a questo punto, allora a mio avviso è necessario partire da un principio cruciale: prima di pensare ai tagli, inevitabili, si deve pensare a come aumentare i ricavi. E, nel campo della pubblica amministrazione, il primo ricavo possibile è quello che deriva dall’aumento dell’efficienza e della qualificazione e ammodernamento della struttura. Dico questo perché penso che in questa fase, soprattutto in Trentino dove una parte considerevole dell’economia dipende dal settore pubblico, il ruolo della mano pubblica è fondamentale. Non sto invocando una nuova fase dirigista, ma so, da liberale, che in momenti di crisi come questa lo Stato, nel nostro caso la Provincia, possono ricoprire un ruolo centrale. Un ruolo nel sostegno al reddito, ma ancor più un ruolo di coordinamento e rilancio del settore privato, prima di tutto industriale, che ha bisogno di ritrovare il bandolo dello sviluppo.

    Calando questi principi nella nostra realtà significa che la Provincia deve aiutare la nascita di consorzi e alleanze produttive per far crescere il livello competitivo delle nostre aziende; ampliare gli sforzi per la ricerca di nuovi mercati esteri; capire quali spazi si aprono per la nostra economia nei confronti della Germania e dell’Austria per costruire un vero e proprio piano geoeconomico; impegnare ancor più risorse, soprattutto umane, per la ricadute della ricerca nell’economia reale. Sul piano finanziario va costruita una politica pubblica, senza soggezioni nei confronti dei troppi potentati del denaro presenti anche da noi, in modo da orientare il credito verso la produzione. Questa è una battaglia politica centrale che anche i nostri rappresentanti in parlamento dovrebbero capire e interpretare. Noi non abbiamo competenza in questo settore ma se non si torna, faccio solo un esempio, alla separazione tra banche d’affari e quelle commerciali non potremo mai uscire dal credit crunch che attanaglia le aziende e le stesse banche, alle prese con sofferenze sempre più pesanti. E, come detto, se a livello nazionale e europeo non si costruisce un nuovo sistema di regole, la finanza lasciata nelle mani della speculazione ci travolgerà.

    Ma, tornando alle nostre competenze e responsabilità, per costruire, nel breve tempo che la realtà ci mette a disposizione, una politica di questo tipo abbiamo bisogno di un cambio di marcia nella pubblica amministrazione. E qui prendo spunto da una buona notizia: i livelli di eccellenza, in base ai test Pisa, dei ragazzi delle nostre scuole. Siamo ai primi posti in Europa (purtroppo tra gli ultimi troviamo i ragazzi del nostro sud) e ai vertici troviamo anche i quindicenni delle altre regioni del nord. E questo miglioramento è avvenuto nonostante lo Stato (non è questo il nostro caso) abbia tagliato l’8% delle risorse. Un esempio di come si possa fare meglio con meno cambiando i modelli organizzativi, motivando le per persone e responsabilizzandole.

    La leva fiscale per promuovere sviluppo e imprese

    La recentissima fotografia del Censis ci parla di una nazione “sciapa”, infelice e disinteressata alla politica. E sottolinea un aspetto drammatico: l’Italia è un paese di giovani in fuga verso l’estero. 

    Lei ha aperto la sua stagione da Presidente partendo dai giovani. Un passaggio che mi è apparso piuttosto fumoso e di circostanza. Oggi non c’è bisogno di evocare a parole il problema: lo si fa già fin troppo in tutte le occasioni. Oggi c’è bisogno di proporre soluzioni concrete al problema delle prospettive di lavoro dei giovani, che nella sua relazione lei non ha indicato. La soluzione che la politica è chiamata a proporre oggi è una sola: promuovere lo sviluppo dell’economia favorendo la crescita delle imprese, perché solo in tal modo offriremo ai giovani opportunità di lavoro reali. Muoversi in questa direzione non significa evidentemente tornare all’assistenzialismo resuscitando la logica ormai del tutto impraticabile dei contributi. Significa piuttosto accompagnare e facilitare il più possibile lo sviluppo imprenditoriale utilizzando tutti gli strumenti consentiti e a nostra disposizione.

    E lo strumento principale è quello delle deleghe fiscali.

    Se, come pare, avremo a disposizione queste nuove competenze finanziarie, dobbiamo concentrarci al massimo sulla possibilità di intervenire sulle aliquote a favore delle imprese. Con questo nuovo strumento è necessario mettere in campo una politica di riduzione delle imposte, a partire dall’Irap, che punti all’insediamento di nuove industrie.

    Questa politica di riduzione delle aliquote va a mio avviso orientata in tre direzioni. Le più alte esenzioni fiscali possibili andrebbero accordate dalla Provincia alle aziende provenienti dall’estero. Queste deleghe potranno servire a potenziare fortemente la capacità del nostro territorio di attrarre attività produttive. Dobbiamo porci l’obiettivo di una capacità di attrazione che ci renda competitivi con paesi vicini come l’Austria. In secondo luogo dovremo utilizzare la leva tributaria per favorire l’insediamento nel Trentino di imprese italiane che non trovano più condizioni appetibili e adeguate in altre regioni. Terzo: sul piano fiscale va contestualmente incentivata la nascita di attività economiche nel nostro territorio, senza trascurare l’esigenza di consolidare quelle già esistenti.

    Insomma, con le nuove competenze volute e acquisite l’Autonomia è chiamata a lanciare al mondo delle imprese un segnale di apertura concreto e un messaggio incisivo che dica: il Trentino è terra d’impresa. Una terra propizia per chiunque voglia realizzare il sogno di mettersi in proprio e per chiunque voglia approfittare della nostra posizione di “ponte” strategico fra il Mediterraneo e la Mitteleuropa.

    Se creo un “extrabusiness” ed investo con forme mirate  di detassazione, ricostituisco le condizioni più favorevoli per la crescita dell’occupazione che oggi manca ed è il bene più prezioso. Perché più impresa significa più occupazione. E più occupazione equivale a un’iniezione di reddito per le famiglie. E il nuovo reddito innesca la ripresa dei consumi e della domanda che è il vero motore dell’economia.

    Innovazione.

    Lo stesso trinomio “innovazione – apertura – futuro” messo al centro della relazione programmatica dal presidente Rossi risulterà credibile e non l’ennesima “perla” retorica già utilizzata in analoghi interventi dei suoi predecessori, solo se il governo provinciale da lui guidato dimostrerà con i fatti di voler e di saper produrre questo sforzo per avviare un processo di sviluppo della nostra economia.

    Perché anch’io sono convinto che la politica della Provincia dovrà continuare a investire nell’innovazione, purché le risorse destinate alla ricerca rispondano in modo organico e puntuale alle reali esigenze delle imprese, generando ricadute diffuse sul territorio. A questa condizione assolutamente vincolante dovrebbero a mio parere essere subordinati i trasferimenti finanziari alle Fondazioni Kessler e Mach, all’università e agli altri centri di ricerca sostenuti dall’ente pubblico, la cui produttività e i cui risultati concreti vanno tenuti sistematicamente sotto controllo.

    Apertura.

    Quanto all’apertura di cui indubbiamente il Trentino ha bisogno alla quale il presidente Rossi accennava, non ho ben compreso a cosa esattamente alludesse, ma io identifico questo obiettivo con la necessità, appunto, di “aprire le porte alle imprese”, rendendo più appetibile l’insediamento delle attività produttive nel nostro territorio non solo dal punto di vista fiscale, ma anche per quanto riguarda la snellezza delle procedure burocratiche e delle infrastrutture. Perché oggi apertura vuol dire comunicazioni, e le comunicazioni costituiscono un elemento strategico dello sviluppo. Comunicazioni significa reti scorrevoli, facilmente percorribili e veloci che agevolano i trasferimenti delle persone e delle merci, gli scambi e il turismo. Reti telematiche, viabilistiche, ferroviarie, aeroportuali. So che la Giunta si tappa occhi, naso e orecchie al solo sentir parlare di completamento verso nord dell’autostrada della Valdastico, ma sarebbe comunque sbagliato e un indice di ottusità censurare o rimuovere la questione, dal momento che anche di questa apertura la nostra economia non cessa di aver bisogno. E dal momento che non solo le forze politiche di minoranza locali, ma le regioni confinanti, il governo nazionale e la stessa Unione europea sollecitano la Provincia autonoma di Trento a non mettere una pietra sopra a questo progetto. Un progetto che può e deve risultare sostenibile sia sul piano finanziario sia dal punto di vista ambientale e territoriale.

    Futuro ed Autonomia.

    La terza parola-chiave adottata dal presidente Rossi è stata “futuro”. Io penso che anche questo richiamo possa essere condivisibile e interessante, ma solo se lo si riempie di contenuto. E gli si dà un ancoraggio preciso al presente. Perché il futuro per il Trentino deve iniziare da una politica provinciale che abbia il coraggio di dare davvero un’interpretazione nuova dell’Autonomia. Autonomia per recuperare credibilità e legittimazione va intesa oggi come Autogoverno e come capacità di trarre il massimo profitto economico e sociale dalle risorse raccolte e investite sul nostro territorio per gestire al meglio i servizi primari e facilitare la vita e la crescita alle imprese. So già che il presidente e i colleghi di maggioranza mi diranno di essere perfettamente d’accordo. A me pare però che questi non siano affatto obiettivi raggiunti né che si vogliono davvero raggiungere. Ho l’impressione, anzi, sono convinto, che manchi ancora un cambiamento di mentalità e di concreta effettiva volontà politica perché si possa dare alla nostra Autonomia questo valore e, quindi, perché si possa prospettare per la nostra Autonomia questo futuro. Credo che il Trentino abbia bisogno di una politica moderata, responsabile e concreta che renda trasparente e inequivocabile l’intendimento di mettere l’Autonomia della Provincia a servizio dell’Autonomia del Trentino e dei trentini, vale a dire dell’economia e della società, e non il contrario. Per questo ho scelto non senza un certo travaglio di rispondere positivamente all’appello di tanti trentini che mi hanno chiesto di impegnarmi in quest’assemblea legislativa. Per contribuire a mettere la politica, le strutture, i mezzi, i poteri e le risorse della Provincia esclusivamente a servizio dello sviluppo, delle imprese, dell’occupazione, di servizi efficienti, in una parola, del bene comune.

    Conclusioni.

    Signor presidente della Giunta, colleghi consiglieri,

    tenuto conto del recepimento da parte del governo provinciale e della maggioranza di alcune valutazioni, idee e proposte avanzate sia nella precedente legislatura da alcuni gruppi e consiglieri di minoranza, sia da me e dalle liste da cui è stata sostenuta la mia candidatura nell’ultima campagna elettorale, confido nella possibilità di vedere prese seriamente in esame e magari anche inserite nell’azione di governo anche le considerazioni e i suggerimenti che ho appena evidenziato.

    Voglio peraltro rassicurare fin d’ora il presidente Rossi, i colleghi della Giunta e della maggioranza, che se dovessero far propri, come spero, qualcuno degli obiettivi da me appena indicati, non dovranno temere alcun tentativo da parte mia di rivendicarne la paternità. Non mi interessa piantare bandierine su progetti e interventi validi. Mi interessa che siano attuati e producano i frutti sperati per la crescita dell’economia, dell’occupazione e del benessere della società trentina. Questo è lo spirito politico da cui sono e voglio continuare ad essere animato.

    Per tornare ad interessare i cittadini, infatti, la politica deve a mio avviso tornare ad essere un luogo nel quale persone e gruppi appartenenti a storie, culture, esperienze e sensibilità diverse, si incontrano per cercare le soluzioni migliori ai problemi di tutti. Non guardando alla provenienza delle idee e delle proposte ma preoccupandosi soltanto degli effetti che potrebbero avere. La politica per come la intendo e per come mi sforzerò di praticarla, non è una palestra nella quale esercitarsi a polemizzare per partito preso con l’avversario. La politica è il tentativo di cercare e di dare delle risposte ai problemi attraverso lo studio, l’elaborazione delle idee e delle soluzioni, il dialogo, il confronto dialettico, magari anche duro ma sempre profondamente rispettoso, tra maggioranza e opposizione. Un confronto che avviene all’interno di istituzioni democratiche come questa, nell’osservanza delle regole ma soprattutto all’insegna del realismo, della ragionevolezza e del buon senso.

    Un confronto nel quale la maggioranza governa e decide, ma è anche sempre disposta ad accogliere quanto di serio e di propositivo proviene dalle minoranze sia in termini di controllo che di impulso, di critica e di proposta. Un confronto in cui l’opposizione è impegnata non solo nell’azione di contrasto, ma anche a riconoscere e a sostenere quanto di condivisibile, intelligente e utile può proviene dal governo e dai colleghi della maggioranza.

    Perché nessuno, specialmente oggi, possiede ricette scolpite nel marmo. Un grandissimo pensatore come Dostojevskij scriveva: “la formica conosce la formula del formicaio; l’ape conosce la formula dell’alveare; l’uomo non conosce la propria formula”. Credo che questo giudizio, che vale per la vita umana, valga a maggior ragione per la politica. Per fare politica, una buona politica, oggi c’è innanzitutto bisogno di grande umiltà, di disponibilità a cercare, a studiare, ad ascoltare, a capire e a confrontarsi con gli altri. Senza più erigere muri, ma con lo sguardo rivolto unicamente al risultato. Perché è di questa politica, di questa “buona politica”, che il Trentino e l’Italia di oggi hanno estremo bisogno. A questo tipo di politica vorrei contribuire all’interno del Consiglio provinciale. Vorrei contribuire non “nonostante” la diversa attività – quella di imprenditore – che ho sempre svolto nella mia vita al di fuori delle pubbliche istituzioni, ma anzi, proprio avvalendomi pienamente dell’esperienza che da essa mi deriva, certo come sono che possa fornire un apporto originale e prezioso a tutti.

    Grazie.

    Diego Mosna

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