Il Blog di Diego Mosna

  • Diego Mosna

    12 marzo 2014

    Il Blog di Diego Mosna

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    L’irruzione di martedì di un gruppo di manifestanti (dico subito: estremisti, non rappresentanti della nostra gente) è stata una spia drammatica della situazione. Del fatto che, ormai, si confonde chi occupa temporaneamente il ruolo di rappresentante del popolo, tramite un voto libero e democratico ricordo e sottolineo, e i luoghi, i simboli, le strutture che sono le istituzioni. Simboli, luoghi e strutture che la Costituzione e lo Statuto d’Autonomia hanno previsto perché, contrariamente a noi consiglieri che qui ci stiamo fin quando gli elettori lo vogliono, devono durare nel tempo nel nome dell’intera comunità. Mi permetto di riprendere questa sorta di ABC della politica e della vita istituzionale, perché noto che questi concetti non sono per nulla chiari. Se un gruppo di facinorosi (anche per ragioni fondate) entra nell’Aula come è accaduto martedì, lancia fumogeni, offende e minaccia, l’offesa non è rivolta solo a noi occupanti pro tempore degli scranni dell’emiciclo di piazza Dante, ma a chi è venuto prima e a chi verrà dopo di noi. Alla storia e al futuro dell’istituzione.

    Ecco perché mi preoccupa quanto è accaduto. Non son certo quattro urla che mi spaventano! Ma il fatto che gli errori madornali compiuti in passato e la campagna di odio irrazionale montata dai media per vendere qualche copia in più contro i “politici”, quasi fossero una massa indistinta andata al potere con la frode e l’inganno, hanno finito per creare una crisi istituzionale gravissima.

    L’ho detto e lo ripeto: la storia della riforma dei vitalizi (anche se ho sentito che venne salutata con favore, e parliamo del 2012, quindi non un’era geologica fa) è stata il prodotto perverso di una storia perversa. Concedo la buona fede a chi mise mano alla vecchia normativa (la nuova legge venne votata con solo tre voti contrari); posso essere anche convinto che non ci fossero molte altre strade, ma al fondo c’è un fatto: non si è capito per tempo che certe prebende chi fa politica non se le poteva e, ovviamente, non se le può più permettere, da tempo.

    Eppure, vent’anni fa il Consiglio (allora fuori di qui c’erano i leghisti della prima ora) venne assediato in nome delle “mani pulite”. E in vent’anni di attacchi parolai alla “casta” che cosa è successo? Perlomeno poco. Perché? Secondo me perché invece che fare, con umiltà, un’opera di adeguamento dei vitalizi, di correggere malcostumi, vizi e vizietti, con rigore e serietà, ci si è abbandonati alla propaganda e alle piccole grandi furbizie. Più che guardare al futuro delle istituzioni s’è fiutata l’aria per ottenere consensi. Dietro alla cortina fumogena dei tutti ladri non s’è distinto più nulla: né i ladri veri, né il lavoro, magari paziente e faticoso, dei tanti che in Consiglio (o alla Camera dei Deputati o nel Senato della Repubblica) hanno fatto tanto e bene. Tra l’altro, gli attacchi alla politica sono anche serviti a sviare l’attenzione da altre magagne della classe dirigente.  Come ho già accennato altre volte, la storia dei vitalizi rientra in quella più generale delle assurde differenze tra dirigenti e lavoratori cresciute in questi ultimi decenni. Questione che riguarda non solo i privati, ma anche il pubblico e il parapubblico. Vogliamo parlare di trattamenti pensionistici di magistrati, ufficiali, dirigenti statali e provinciali? Vogliamo parlare delle laute prebende dei tanti capi e capetti delle associazioni di categoria che, particolarmente in Trentino, col potere pubblico, nonostante tante critiche più o meno roboanti, vanno a braccetto da sempre? Vogliamo ricordare a quelli che, dopo aver corteggiato ed essersi fatti corteggiare per mesi e mesi, dal centro-sinistra ora sparano sulla classe politica ad alzo zero, chiamando addirittura la gente alla rivolta? I sindacati “ufficiali”, anche quelli pronti a sparare a raffica, sono così immacolati?

    Già che ci siamo vogliamo parlare anche della stampa? Bene, detto che fa il suo lavoro quando critica e solleva questioni, quando un giornale paragona gli estremisti che fanno irruzione nell’Aula (tra l’altro estremisti “parastatali”, visto che alcuni appartengono al centro sociale Bruno) ai consiglieri, mi pare che siamo oltre la libertà di critica! A prescindere dal fatto che in quest’Aula su 35 consiglieri ben 21 sono entrati per la prima volta nell’ottobre scorso, la legge che ha riformato i vitalizi è stata discussa e votata due anni fa ed evidentemente anche i giornalisti sono stati distratti per un po’. Solo quando la “frittata” è stata scodellata bell’e pronta, allora s’è alzato il coro dell’indignazione. Giusta indignazione. La solita storia all’italiana: scandalo, picconate su tutto e tutti, demolizione istituzionale e poi, invece che il cambiamento, si cambia moda. Come ieri: prima i fumogeni e poi tutti a colloquio col Presidente Rossi. Bene, anzi male, malissimo.

    Malissimo, perché tutta questa storia, e torno così all’inizio del mio ragionamento, sta a significare che l’intero sistema trentino è in crisi. Che il gioco democratico è inceppato anche quassù. E questo male ha finito per avvelenare le istituzioni. Questo mi preoccupa! Perché, e lo dico anche alla classe imprenditoriale alla quale appartengo e che ha grandi responsabilità non solo economiche, se le istituzioni collassano collassa il sistema. Anche quello economico. E la testimonianza macro di questo è l’euro: una moneta senza Stato, senza una Banca centrale che faccia da banca centrale e non solo il guardiano dell’inflazione, un sistema istituzionale e democratico fatiscente che nonostante questo concentra potere. Anzi, concentra poteri, quelli che ci hanno condotti alla crisi attuale. Crisi che, ed è lampante, esaspera gli animi anche in Trentino.

    Capisco e lo vedo stando qui: in molti si aspettano una soluzione da noi. La Provincia, la politica locale può fare, anche molto, ma al popolo va detto chiaro e forte che questa crisi è globale. Che neppure il Governo, come è ormai ampiamente dimostrato da Monti a Letta al giovane Renzi, ha molti spazi di manovra. Abbiamo perso sovranità a livello statale, immaginatevi a livello locale!

    Martedì ho scritto sul Corriere del Trentino un articolo ben sintetizzato dal titolo: “Via i privilegi ma vogliamo rispetto”. Rispetto per le istituzioni prima di tutto e da parte di tutti, perché sono il solo baluardo alla dissoluzione e al degrado. Sono il luogo dove tutti si possono e si devono riconoscere. Quindi, non facciamoci, non fatevi, espropriare di questo bene!

    Che fare? Io lancio un appello agli uomini di buona volontà che siedono in Consiglio provinciale e regionale e propongo un patto che, partendo dai vitalizi, si estenda però anche ai modi con i quali ci si rapporta in Aula, al linguaggio e allo stile da adottare nelle sedi istituzionali.  Mai come oggi mi rendo conto che davvero le parole sono pietre, anzi armi letali. E per troppo tempo si sono tollerati linguaggi che hanno finito per far degenerare il confronto politico e attaccare la dignità delle istituzioni. Dobbiamo farci rispettare, ma per farlo dobbiamo avere le carte in regola e l’atteggiamento conseguente. Dobbiamo cambiare pagina, ma non come ha fatto il Presidente Rossi incontrandoli anche oggi, chinando il capo a chi viola la legge, ma per senso di responsabilità verso quella “maggioranza silenziosa” di trentini che vive con malessere questo brutto momento. Un patto per dare uno stile nuovo alla politica: più sobrio, più serio, meno prono ai mass-media, più chiaro e quindi più coraggioso. Insomma, dobbiamo prendere l’occasione della brutta vicenda di martedì per cambiare con pazienza e determinazione.

     

    Diego Mosna

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